Il calendario macro economico dell’Eurozona è principalmente catalizzato dalle attese per la riunione della Banca Centrale Europea di giovedì. In tal proposito, le attese sono legate soprattutto all’aggiornamento delle stime macroeconomiche, che ingloberanno una nuova analisi degli effetti della Brexit, con potenziale modesto deterioramento rispetto alla situazione ex ante. Appare infatti oramai chiaro che l’esito del voto inglese sembra avere più che altro influito sul bilancio dei rischi spostandoli verso il basso, che le indagini di fiducia hanno sorpreso in negativo e che i dati qualitativi appaiono coerenti con una stabilizzazione della crescita sui livelli del secondo trimestre, pari a 0,3 punti percentuali su base trimestrale, anche per la seconda metà dell’anno.
Introdotto quanto sopra, si tenga anche conto che la Banca Centrale Europea sta mantenendo un certo grado di discrezionalità sulle nuove stime, in base alla valutazione dell’impatto delle misure di politica monetaria che a giugno non erano ancora state implementate. In maniera più specifica, e con riferimento allo scenario dei prezzi, le stime preliminari per l’inflazione di agosto hanno registrato un’inattesa debolezza, soprattutto con riferimento alla dinamica dei prezzi sottostanti.
Nelle righe che precedono dovrebbe dunque formarsi una valutazione di massima legata alle mosse della Banca Centrale Europea, che a detta di una buona parte degli analisti dovrebbe oramai essere pronta per tagliare di un paio di decimi le previsioni sul PIL nel biennio 2017-18, con una stabilizzazione della crescita intorno all’1,5 per cento, un livello che è attualmente poco sopra quello potenziale, e in linea con lo scorso esercizio.
Oltre alle revisioni di crescita per il prodotto interno lordo della zona, è possibile che possano esservi delle revisioni anche per quanto concerne l’inflazione: per quanto attiene il 2016, la revisione dovrebbe concretizzarsi in un taglio del punto di arrivo per il CPI core; per quanto concerne il target di arrivo dell’indice headline sull’intero orizzonte di previsione, la limatura dovrebbe prender spunto da quanto comunicato nell’aggiornamento di giugno, 1,6% nel 2018.
Il deterioramento dello scenario, seppur modesto, potrebbe quindi giustificare un nuovo intervento espansivo da parte della BCE. Al momento appaiono comunque precoci gli annunci di nuove misure strutturali come l’aumento del volume di acquisti del quantitative easing o nuovi tagli dei tassi o modifiche alle regole di funzionamento del programma di acquisto titoli. Appare invece essere sicuramente più percorribile l’opzione di un’estensione temporale del programma oltre la “fine” ipotizzata nel mese di marzo 2017, a supporto di un messaggio accomodante. Non è comunque da escludere che una simile mossa possa essere attuata nella successiva riunione.
Dall’altra parte dell’Atlantico, altri dubbi attanagliano invece i policy makers della Fed, alle prese con le mosse preparatorie del FOMC del 20-21 settembre. L’incertezza circa la possibile rivisitazione al rialzo dei tassi di riferimento è piuttosto elevata, e anche e la maggior parte degli analisti ritiene che a settembre non vi sarà alcuna mossa in tal senso, non è certo possibile scongiurare una scelta che sorprenderebbe una parte degli osservatori. D’altronde, l’employment report della scorsa settimana ha deluso solo in “superficie”, ma un’analisi più attenta ha in realtà dimostrato che la crescita del mercato del lavoro statunitense è solida e duratura, ponendo quindi le basi per la formazione di una azione positiva sul fronte del benchmark. Anche se il solo dossier sul lavoro non può certo ritenersi una condizione sufficiente per alzare i tassi, tutto lascia presagire che dalle parti della Federal Reserve si stia finalmente raggiungendo una intesa per poter riprendere la strada del rialzo del tasso di riferimento, dopo l’ultima mossa compiuta a dicembre 2015.