Questo fine settimana il 58 per cento dei cittadini del Canton Ticino, in Svizzera, hanno votato favorevolmente a un referendum di iniziativa popolare che mira a dare la precedenza ai residenti svizzeri per l’assegnazione dei posti di lavoro. L’iniziativa – dall’emblematico titolo “Prima i nostri” – ha domandato che a parità di qualifiche professionali sul mercato svizzero venga privilegiato chi vive sul territorio, come gli svizzeri, o gli stranieri che vivono e pagano le tasse in Svizzera. Considerato che nel Canton Ticino, dove si è tenuto il referendum, la maggior parte dei lavoratori stranieri sono italiani, è facile comprendere come, in realtà, il referendum fosse proprio un voto popolare sulla presenza degli italiani in loco. Ma cosa accadrà?
Per il momento, al di là della vittoria del sì, non è affatto chiaro se ci saranno o meno delle ripercussioni sul mercato del lavoro: il tema occupazionale è infatti di competenza esclusiva del governo federale svizzero, e pertanto non ci saranno degli effetti immediati. Lo stesso non può certamente dirsi sul medio lungo termine, anche se – pure in tale ipotesi – è bene ricordare che le conseguenze dovrebbero essere tiepide e mediate: il governo ha infatti affermato di intendere costruire un gruppo di lavoro per poter integrare i risultati del referendum nella Costituzione cantonale. Tuttavia, appare molto evidente che quanto approvato con lo scorso referendum non sia sinergico con quanto già presente nella carta costituzionale. Il che, in fin dei conti, sta a significare che poco o nulla verrà fatto (probabilmente) o verrà rivoluzionato l’attuale approccio sul mercato del lavoro (molto difficile).
Al di là delle effettive conseguenze sul panorama legislativo, quel che sembra ancora più chiaro è che l’approvazione dell’iniziativa si inserisce in una lunga serie di azioni che gli svizzeri hanno prodotto, in questi ultimi anni, per poter manifestare la propria insoddisfazione sul tema dell’integrazione e del lavoro. Sia sufficiente ricordare, ad esempio, che gli stessi sostenitori di destra di “Prima i nostri” si sono fatti portavoce della richiesta che il governo inizi a applicare quanto già richiesto con un’altra iniziativa del 2014, “Contro l’immigrazione di massa”, che punta a limitare il numero di immigrati e lavoratori stranieri in Svizzera.
A questo punto, ci si potrebbe facilmente domandare che senso possa avere una iniziativa di questo tipo in una zona, il Ticino, dove il tasso di disoccupazione è di circa il 3%. Anche in questo caso, la ragione è piuttosto semplice e riconducibile alle differenze salariali e al timore che i lavoratori stranieri conducano ad un abbassamento delle soglie di stipendio. I lavoratori italiani si “accontentano” infatti di uno stipendio più basso dei lavoratori svizzeri, e il rischio che le aziende elvetiche finiscano con il livellare i salari al ribasso è lo spettro che impaurisce i ticinesi…