Sta per prendere il via una interessante e delicata stagione “elettorale”, la cui caratteristica di incertezza sembra riguardare sia gli Stati Uniti che l’Europa. Ma cosa potrebbe cambiare per l’economia internazionale? E c’è davvero da temere la sua evoluzione?
Stati Uniti
Cominciamo con gli Stati Uniti. Per il momento, i sondaggi relativi alle elezioni presidenziali USA mostrano che Donald Trump ha ancora chances di vittoria. Si tratta comunque di possibilità minoritarie rispetto allo scenario centrale (che confermiamo), relativo alla vittoria di Hillary Clinton (probabilmente, anche l’esito più gradito ai mercati). Tuttavia, se si dovesse verificare la vittoria del candidato repubblicano, appare piuttosto intuibile che si manifesterebbe la possibilità di una forte discontinuità nella politica economica e, soprattutto, nella politica estera degli Stati Uniti. Difficile, però, che possano esservi degli stravolgimenti tali da far traballare gli equilibri internazionali: il mutamento (che comunque ci sarà), in ambito economico sarà comunque ridimensionato almeno in parte dalla necessità di negoziare con il Congresso. Quel che invece potrebbe cambiare in modo più significativo è l’equilibrio sul fronte internazionale, che potrebbe subire dei cambiamenti particolarmente e non particolarmente graditi. Al momento, l’indice di incertezza della politica economica non sembra riflettere per nulla tali rischi, probabilmente anche perché i sondaggi stanno convergendo verso una vittoria netta (ma non schiacciante) della candidata democratica.
Europa
Se negli Stati Uniti si prospetta una continuità tra la presidenza democratica di Barack Obama e quella futura – probabile – di Hillary Clinton, in Europa dovrebbero invece manifestarsi i maggiori mutamenti. In particolare, un cambio di Governo sembra essere molto probabile in Francia, che nel 2017 rinnova il Parlamento ed elegge il nuovo Presidente. Altro cambio potrebbe essere riscontrato anche in Olanda, dove i due partiti più rappresentati in Parlamento potrebbero addirittura vedere la propria presenza dimezzata, con un aumento della frammentazione e una forte avanzata dei nazionalisti euroscettici del Partito per la Libertà (PVV), a dar retta agli ultimi sondaggi compiuti sui Paesi Bassi. Attenzione altresì alle novità in Germania. La posizione del primo ministro Merkel è infatti stata gradualmente indebolita dalla crisi dei migranti, che rischia di erodere il consenso per i cristiano-democratici alle elezioni dell’ottobre 2017 e complicare la formazione di un nuovo governo. In Spagna, anche alla luce delle recenti novità, non sembra potersi intravedere una pronta uscita dallo stallo politico, che potrebbe sfociare in nuove elezioni entro fine anno.
Italia
Per il nostro Paese, l’appuntamento clou è rappresentato da quello del 4 dicembre 2016, quando i cittadini saranno chiamati a esprimersi sulla riforma costituzionale promossa dal Governo Renzi. Inizialmente questo passaggio sembrava essere cruciale per il futuro dell’esecutivo, ma negli ultimi tempi il premier ha opportunamente sganciato l’esito del voto dalle sorti del Governo. Questo non significa tuttavia che il suo esito non sia importante anche ai fini politici, visto e considerato che una sconfitta creerebbe ben più di qualche conseguenza in ambito esecutivo.
E quindi cosa succederà?
Nel vecchio Continente appare chiara la formazione di un comportamento discretamente comune. Da una parte si assiste infatti al progressivo indebolimento delle maggioranze moderate, mentre dall’altra parte si assiste alla radicalizzazione del voto popolare: una tendenza che ha spinto i governi europei ad arroccarsi nella difesa degli interessi nazionali, rendendo sempre più arduo arrivare alla definizione di politiche comuni, come peraltro ben visibile da quanto sta avvenendo in seno all’Unione Europea. Purtroppo, questa tendenza sembra essere destinata a rafforzarsi nei prossimi mesi, in maniera controproduttiva rispetto a quello che richiederebbe l’attuale momento storico, con la necessità di rafforzare l’architettura dell’Unione monetaria, e sciogliere così i nodi strutturali che la crisi del 2010-12 ha messo a nudo, e che non hanno portato al sostanziale collasso dell’Unione soltanto per l’intervento della Banca Centrale Europea.
Dunque, il futuro a breve e a medio termine è tutt’altro che confortante. Nel breve termine, prima dell’avvento dei nuovi governi, non saranno assunte decisioni impopolari e comunque utili per poter gestire al meglio l’eredità dei vecchi problemi passati. Dopo l’avvento dei nuovi governi, la situazione potrebbe essere addirittura peggiore, visto e considerato che l’esito delle elezioni potrebbe formalizzare lo spostamento del consenso verso il nazionalismo di destra e posizioni ultra populiste.
L’azione delle Banche centrali
In un simile contesto evolutivo, un’azione incisiva sarà naturalmente condotta dalle principali banche centrali, l’andamento delle cui politiche monetarie è stato più accomodante del previsto nel corso della prima parte del 2016. Tutto lascia intendere che anche il 2017 possa muoversi nella stessa direzione: negli Stati Uniti la restrizione monetaria americana è sospesa dalla fine del 2015 e potrebbe muoversi solo nei prossimi mesi, pur in misura molto modesta; in Europa sono previste nuove misure espansive dalla BCE e dalla Banca d’Inghilterra: in Asia la Banca del Giappone continuerà a implementare il suo massiccio programma di acquisti, ora riformulato per puntare alla stabilizzazione dei tassi a lungo termine e con un orizzonte che va oltre l’ipotetico ritorno dell’inflazione all’obiettivo. Per il futuro, molto dipenderà dalla possibilità di realizzare uno sforzo coordinato fra politica monetaria, politica di bilancio e riforme strutturali per rilanciare la crescita: peccato solo che molti Paesi non abbiano più grandi spazi di manovra in tale ambito, a causa dei livelli di partenza del debito pubblico. Altri ancora (Germania) sono sostanzialmente bloccati da fattori ideologici…